Nell’albergo dove lavoro, passando davanti al tavolino che ospita i depliant, più d’una volta sono stato attratto dal prendere in mano quello inerente il Palmanova Outlet Village,(POV) ma la sua vista a un tempo mi attirava e dall’altro mi respingeva, senza che mi fermassi mai a chiedermi il perché. D’altronde ogni giorno siamo sottoposti agli stimoli visivi più disparati, quindi perché darmene cruccio? Solo che adesso, coi primi veri freddi, mi sono ritrovato a non uscire più fuori per fumarmi una sigaretta, ma a recarmi nella saletta fumatori. Lavorando di notte poi, mi ritrovo a dover ciccare in posacenere che il barman, addetto a questa mansione, ha pulito prima di andare via, e mi scoccia sporcare un posacenere intonso o, nella peggiore delle ipotesi, doverlo pulire io percorrendo il chilometro e mezzo che divide la hall dalla saletta fumatori. Così cosa ho fatto, passando davanti al tavolino dei depliant ho preso senza pensarci troppo questo piccolo piegabile del POV e l’ho usato come posacenere, evento questo che ha fatto sì che potessi fermarmi a osservare più attentamente la sua copertina, innanzitutto, e il suo svolgimento generale. Se ne scoprono di cose, ad aver tempo da perdere. Per prima cosa mi sono chiesto come mai il suddetto depliant mi desse questa sorta di repulsione barra attrazione. Osservandolo attentamente la prima risposta che mi sono dato è stata: geometria. Tutto il frontespizio del depliant è un’astutissima e infernale opera geometrica celata dietro i colori pastello delle case e del cielo e alla innaturale disposizione delle persone sparse qui e là per questa veduta aerea dell’ingresso del villaggio. Mi ricorda un po’ le vedute della Reggia di Caserta riportate nelle stampe, che compravamo quando ci portavano in gita da bambini, con l’occhio di noi che guardiamo posto innaturalmente in alto, come se stessimo per atterrare nel posto che stiamo osservando.
Il frontespizio riporta, sommariamente, l’ingresso del villaggio, che avviene tramite il passaggio sotto tre archetti ombreggiati, che si aprono su una piccola piazza arricchita delle figure degli ipotetici clienti e dall’immagine di qualcosa che dovrebbe essere una fontana, composta da nove piccoli quadrati formanti un quadrato più grande, che pare sbuffare piccoli geyser anziché acqua. La piccola piazza è abbracciata da una specie di corte, in stile finto borghetto medioevale ma con tratti liberty. Notiamo a destra e sinistra della piazza il ripetersi altri archetti ombreggiati, corpo di invisibili portici e, sullo sfondo, di traverso alla nostra prospettiva, una strada che chiude la piazza e apre al tempo stesso due sbocchi laterali a destra e a sinistra. Sullo sfondo, un manipolo composto da cinque di queste casette che ospitano i negozi, di cui non possiamo non notare, ma senza capirlo, il disegno dei tetti, che ripete un motivo geometrico che ancora ci sfugge. Fin qui i toni sono calorosamente marroni e beige, sono un maschio e non sono Nabokov quindi perdonate la mia carenza di lessico nelle sfumature di colore. Continuando, ancora più sullo sfondo, ci torna il respiro perché intravediamo l’elettrocardiogramma di una lunga fila di montagne che copre tutto il villaggio, forse parzialmente innevate, dalla cui sommità si stendono morbide nuvolette dipinte, molto rassicuranti, che terminano fondendosi con il celeste pallido del cielo. Fra le nuvole, la scritta: APERTI 7 GIORNI SU 7 DALLE 10 ALLE 20, ripetuto anche in inglese. Poco più sopra, nel’immensità del cielo ormai spalancato, il nome del villaggio, PALMANOVA OUTLET VILLAGE. Ancora sopra, dominante su tutto, lo stemma del POV che scopro essere un ennagono, una sorta di stella a nove punte difficilmente riproducibile, geometricamente parlando. L’ennagono vigila su tutto, e ha proprio l’aspetto e l’intenzione di assomigliare a un sole, data la sua posizione preminente. Il nostro sole, che viene a chiudere col suo simbolo grafico l’unico altro simbolo grafico che troviamo sul frontespizio, proprio all’inizio, all’entrata del villaggio, fra due macchine parcheggiate. La scritta che temo mi abbia tenuto lontano tutto questo tempo dall’analisi del depliant: 90 NEGOZI DI MARCA. e poco più sotto. 1 BELLA GIORNATA. Scritto proprio così, col numero. Non una bella giornata. No. 1 bella giornata.
Cos’è un Outlet? Informazioni contrastanti ci dicono che il meccanismo nasce nel 1930 oppure nel 1960, non è chiaro, e significa letteralmente “lasciato fuori”. Il concetto prevedeva che a fianco delle case di produzione di abbigliamento, sorgesse uno spaccio dove potevano venire senza tanti fronzoli venduti avanzi di magazzino, pezzi di collezioni passate di moda, abiti leggermente difettati, a prezzi molto vantaggiosi. Si chiamavano, inizialmente, Outlet Factory proprio perché sorgevano di fianco alle factory che producevano i capi. Successivamente venne l’idea di creare, a mo’ di centro commerciale, un posto dove tutti i prodotti a poco prezzo o in alternativa le grandi marche (nella forcella c’è la soluzione) potessero portare la loro merce avanzata e venderla a prezzi scontati tutto l’anno, partendo da una media del 30 per cento di sconto in condizioni normali fino ad arrivare anche al 50 o 70 per cento di sconto in periodo di saldi. Il braccio di ferro fra prodotto di poco prezzo e grandi marche è finito con una schiacciante vittoria di quest’ultime, dato questo che mi ha portato subito a una riflessione abbastanza agghiacciante, preso atto che in Italia c’è una vera e propria mania per gli outlet. Ossia che il Villaggio racchiuda in un concetto lo status perenne degli italiani, da che io ho memoria, e che ci ha portati nella situazione di crisi in cui siamo, a sentire tutti gli opinionisti economici e a guardare bene i dati di fatto, ossia il vivere al di sopra delle proprie possibilità: ecco, il Villaggio risponde perfettamente alla richiesta del “vorrei ma non posso”, ti dice: ora puoi. Non hai i soldi per permetterti vestiti di lusso ma qui da noi sì, il sogno si realizza. Ed essendo, in Italia, il modo di vestire una sorta di identificativo di casta sociale, l’equazione e il risultato è bello e pronto: successo incredibile, siamo i primi in Europa per apertura di piccoli outlet e ne abbiamo venti di grande dimensione (dati al 2009), milioni e milioni di persone che si fanno anche trecento chilometri di macchina per passare una giornata a fare shopping e comprare cose che non potrebbero permettersi, che gli doneranno uno status sociale migliore o quantomeno li faranno sentire meglio. Questo aspetto mi sfugge completamente, ed è per questo che mi sono lanciato nell’analisi della copertina e del fenomeno Outlet, poiché io sono immunodeficiente all’acquisto e allo shopping, sono proprio un caso raro. Defìcio del desiderio di acquisto di capi e sono totalmente immune al fascino che propanano. Intendiamoci, mi piace vedere una ragazza vestita in un modo piuttosto che un altro, posso dare un’opinione, ma su di me proprio non saprei che dire, comprare vestiti non mi fa sentire meglio, non mi sento più bello o più a mio agio, non c’è niente da fare. E dunque chi meglio di me per analizzare il depliant di un Villaggio? Mi limiterò a quello, non affonderò nella sociologia del perché e del per come gli italiani impazziscano per l’Outlet o per il centro commerciale in genere, come concetto, non mi interessa adesso e credo davvero si risolva, per noi italiani, con l’affermazione del vorrei ma non posso, soddisfatta al cento per cento.
Voglio soffermarmi sul depliant perché il depliant è il modo in cui questi signori costruttori di Villaggi decidono di venire a stanare i loro potenziali clienti. Perlomeno, uno dei modi. E mi sembra molto interessante provare a interpretare cosa vogliono trasmettere i pubblicitari stilatori di depliant per attirare i potenziali clienti. Il Villaggio, concettualmente, è già di per sé un mostro: un luogo dove fare solo acquisti, niente false promesse di turismo per autoingannarsi, niente necessità di tipo alimentare, solo vestiti, vestiti, vestiti. Il surplus reso bisogno, una sorta di orribile paradosso in spregio ai reali bisogni umani reso reale e, per le persone, addirittura meta agognata. Ho letto di agenzie di viaggio che organizzano tour ai Villaggi, sia per italiani che per stranieri. Basta per definire un mostro? Tour organizzati per andare a comprare cose che in realtà non ci servono, o servono a darci l’illusione di uno status sociale migliore, o ancora peggio a fornire l’inganno di un tenore di vita diverso da quello realmente posseduto. Chi c’è su quei pullman? Sono persone recuperabili da un punto di vista spirituale? Sanno cosa fanno e perché realmente lo fanno? Che persona sei se ti serve una gonna di CK per affermare che esisti? Che bisogno stai appagando? E ti rendi conto che se senti questo bisogno hai già perso? Sei stato sconfitto? Ti hanno fregato? Ti hanno indotto a fare cose che tu di tuo non avresti mai fatto? Siamo noi quelle persone? Dati alla mano sei una scimmia senza peli nata per giocare e stare all’aria aperta, hai bisogno di un posto caldo per dormire e ripararti dalle intemperie, e tenderesti a copulare tutto il giorno, se potessi. Come sei arrivato ad essere una cosa del genere? Ok. La pianto con deriva primitivista. Siamo tutti postmoderni e non ce ne frega un cazzo di come ci siamo ridotti e perché. Accendi quella playstation, comprami un iphone, facciamo un viaggio in India. Cosa cambia? Siamo tutti consumatori postmoderni e non ce ne frega veramente un cazzo, non abbiamo bisogno di capire perché siamo così, non ci interessa neanche “sentirlo”, né dentro noi stessi né uditivamente, pena uno sbadiglio immediato. Lo siamo e basta. Tralasciamo questa parte e concentriamoci su chi deve promuovere questo mostro. I pubblicitari studiatori di pieghevoli.
Cosa decide di fare innanzitutto il pubblicitario, qual è lo spirito guida che segnerà tutta la sua campagna? Risposta facile, preso atto del risultato. La geometria. Si affidano alla geometria, poiché è la prima cosa che cozza contro la corteccia cerebrale e resta, guardando il depliant. Ordine, calma, tranquillità. Il mondo è un chaos, ma il Villaggio è un acquario. Linee rette, visibili e invisibili, che conducono tutte al Sole dello stemma ennagonale dell’outlet, su cui spenderò qualche parola più avanti, in caso vogliate fare del turismo vero. La direzione è quella, guardi il depliant e stai già entrando, sembra un plastico di Vespa. Sei già lì, e ci sono altri come te. Siamo tutti lì. Le linee indicano che devi entrare, stai entrando, stai per attraversare gli archetti. Tutto suggerisce che quando arriverai veramente sul posto, tutto sarà realmente così. Possibile? Ho parlato con chi ci è stato e sorpresa: lo è veramente, quello che vedi nel plastico rasenta la realtà. È tutto color pastello e sullo sfondo ci sono davvero le montagne, perché il villaggio sorge in mezzo al nulla, per noi comuni mortali, ma al centro dello shopping, per i pubblicitari e in “posizione strategica a ridosso dell’autostrada A4 Venezia-Trieste, baricentrico tra le città di Udine, Pordenone, Trieste e Gorizia, è il punto di partenza ideale per splendide escursioni nelle belle terre friulane.” secondo il sito ufficiale. Punto di partenza ideale. Non esistono Udine, Pordenone, Trieste e Gorizia, sembrano essere appendici sorte successivamente come indotto al Villaggio, quello sì, il reale punto di partenza ideale per vedere cos’altro c’è oltre a una borsa di Gucci nel mondo. Fine della parentesi ironica. Dicevamo del depliant. Ho provato a tirare delle linee partendo dalle linee di fuga dei palazzi, (sì, l’ho fatto, con righello e penna rossa) delle strade, delle panchine, e tutte vertono verso il grande sole ennagonale lambendone le estremità, intersecandolo perfettamente, riproducendo addirittura, se uno è abbastanza pazzo come me da tirare prima delle linee e poi altre linee che si uniscono a dei punti cardine, un altro sole ennagonale poco sopra la fine degli ultimi palazzi, fra le nuvole, le montagne e la scritta APERTI 7 GIORNI SU 7 DALLE 10 ALLE 20. C’è di più, scoperto questo sole invisibile che si crea solamente tirando linee immaginarie che io ho tirato realmente, scopriamo che tutta la veduta, il disegno che vediamo del Villaggio, a guardare bene riproduce anch’essa in maniera molto allusiva ma abbastanza specifica l’ennagono. Le case sullo sfondo, osserviamo adesso stupiti, hanno proprio la forma del primo angolo dell’ennagono, e all’interno della corte si sviluppano gli altri angoli e il vialetto d’ingresso è esattamente la punta dell’ennagono. Sono pazzo? Non sono cose visibili così, bisogna tirare delle linee, io l’ho fatto e il risultato è quantomeno allusivo. I muri iniziali, che formano l’ingresso, si piegano a gomito creando la corte e guardandoli e al tempo stesso inglobando mentalmente la sommità finale delle case possiamo accorgerci di quello che sto dicendo. C’è l’ennagono ripetuto all’infinito, visibile e non visibile. Lo vedi in continuazione se scorri il depliant dal basso verso l’alto ma non lo sai, finché non ti si palesa nello stemma finale posto a mo di sole, e in qualche modo lì il tuo viaggio sensoriale si è compiuto. Non so se questo possa attirare clienti o lo faccia sul serio, però so che c’è uno schema. E lo schema ti vuole dentro.
Ora, io temo che la pubblicità non sia ciò che loro, i pubblicitari, vogliono far sembrare di un prodotto, ma la percezione che noi abbiamo del prodotto e come essa ci fa sentire. Faccio degli esempi: le pubblicità di profumi mostrano uomini e donne bellissimi in situazioni per i comuni mortali inimmaginabili e desiderabili, poiché quella è la proiezione che è già nella testa, secondo loro, del consumatore dell’oggetto profumo. Se così non è provvederanno a insinuarla, questo è sicuro. Non è semplicemente che indossando quel profumo tu diventi la donna della pubblicità, per niente, non sei così stupido o stupida e loro non vogliono farti sentire così, è l’idea che c’è dietro, ossia quello che quel profumo rappresenta, che è per l’appunto una situazione desiderabile e inarrivabile. Tu non compri la modella, compri il tuo desiderio di essere come lei, non so se mi spiego. Per questo nelle pubblicità ci sono ragazzi e ragazze e uomini e donne attraenti. Siamo lì a lamentarci dell’irrealtà delle famiglie del mulino bianco ma la nostra cultura sotto sotto ci ha sempre insegnato che quella è la famiglia ideale, e noi la desideriamo, anche se è inarrivabile, anche se nessuno fa colazione con l’altro e ci si ignora reciprocamente e in tutta naturalezza, noi idealmente siamo quella famiglia. Ti attirano dentro quello che vorresti essere e implicitamente, poiché così ti narrano, lo sei. Non diventerai Scarlett Johansson con quel lucidalabbra, questo lo sai, ma il desiderio di esserlo e la consapevolezza di non poterlo essere mai al tempo stesso, e questo ti appaga. È un meccanismo malefico, ma funziona, pare. E’ lo stesso dei film. Sai che non sono reali e che tu non vivrai quelle cose ma non è questo il punto, è la sublimazione che cerchi, lo stimolo del tuo desiderio, non il suo compimento. E cosa ci mostra il pieghevole del nostro POV? Un plastico. Divertente no? Cosa desideri oltre il vile acquisto che ti renderà migliore agli occhi degli altri e spesso anche a te stesso? Vuoi una vita ordinata, accolto da linee geometriche che si ripetono, fra colori pastello, un poco di verde, calma e silenzio. Il mondo è un chaos ma Il villaggio è acquario. Nel disegno ci sono poche persone, ecco l’unica menzogna del plastico, non avrai così tanto spazio per muoverti ma non fa niente, tu sei quelle persone riportate nel depliant, ci sono varie casistiche appositamente studiate per te, o quasi, deve esserci il diavolo pubblicitario anche in questo tipo di dettagli, nascosto e senziente.
Chi sono le persone rappresentate nel Villaggio? Notiamo una coppia con un cane (e buste che ne evidenziano gli acquisti), una coppia che si tiene per mano (dotata di buste che ne evidenziano gli acquisti) una mamma con un adolescente che le tiene amorevolmente il braccio e un bambino dall’altro lato (tutti con buste che ne evidenziano gli acquisti), una donna sola sullo sfondo, di profilo, con una busta in mano che ne evidenzia gli acquisti, e infine le persone più interessanti, i casi leggermente diversi. All’ingresso, una coppia di donne sta entrando, non hanno buste (chiaro, stanno ancora per entrare), una ha un tubino viola e l’altra una bella sciarpa o un foulard che le accarezza la schiena. Sul lato destro della corte, dove presumiamo esserci un bar, nascosto sotto i portici, ci sono tre tavolini e tutti e tre sono occupati da una qualità diversa di esempi di noi stessi. Sono seduti su degli sgabelli e sorseggiano tutti qualcosa. La prima coppia, un uomo e una donna, non ha buste, la posizione dell’uomo in giacca e pantaloni e camicia bianca mima una conversazione, potremmo pensare che sono appena arrivati, per quello non hanno buste, e stanno ancora per andare a fare i loro acquisti oppure, particolare ancor più interessante, sono lì solo per prendere un aperitivo, pensa un po’, il posto è talmente bello che ci vai solo per bere qualcosa. Ma queste sono illazioni. La seconda coppia, due donne, è carica di buste. Ne possiamo contare tre e presumerne una quarta, coperta dalla donna della prima coppia. Loro, le due donne, hanno già fatto il loro giro di acquisti. Si stanno rilassando bevendo qualcosa. L’ultima coppia, un uomo e una donna, non ha buste, proprio come la prima. Solo che l’uomo, a differenza della prima coppia, non sembra stia parlando ma sembra sia assorto in una sorta di contemplazione. Cosa sta guardando? Forse è la donna che parla, in questo caso. Anche per quanto riguarda loro, non sappiamo se sono lì per svago o per acquistare, ma adesso sappiamo che le due cose sono la stessa cosa, nel Villaggio. L’ultima coppia, la trovata geniale, il particolare straniante, la troviamo poco più in fondo all’ultimo tavolino descritto, si tratta di una donna che tiene d’occhio un bambino che corre tenendo in mano un palloncino rosso. Non si capisce bene la distanza fra i due, forse la donna le tiene una mano sulla testa del bambino, ma forse è la prospettiva che inganna, e il bambino è un poco più avanti, ma non c’è pericolo, nel villaggio non ci sono macchine. Possibile che sia questo il messaggio? Curioso che io avessi sentito parlare degli Outlet solo da una notizia di cronaca che riportava la morte di una bambina per la caduta accidentale di una statua. Comunque. Che il messaggio voglia suggerirci che il bambino può scorazzare liberamente? Qui non ci sono statue. Credo sia proprio questo il messaggio di quest’ultima coppia, poiché la donna non ha buste, ed è volta verso l’uscita, particolare agghiacciante a dire il vero, uscire senza buste, un rischio da parte dei pubblicitari. Che possa significare qualcos’altro? Osservando bene, (con una lente d’ingrandimento) si può notare che la donna che segue il bambino pare avere una giovane età, l’abbigliamento lo suggerisce. Che sia la sorella del bambino che lo intrattiene mentre i genitori fanno shopping? O i genitori sono la coppia seduta lì vicino? Eccoci. Ecco il perché dell’atteggiamento contemplativo dell’uomo, ecco perché è così calmo: fissa il suo bambino con un palloncino rosso che gioca nel villaggio prima di andare a fare dello shopping. Ragionandoci, quale composizione umana mancava, nel quadro generale? La famiglia classica. Genii.
L’analisi del frontespizio si esaurisce qui, resta da segnalare il logo del POV riportato proprio sopra gli archetti d’ingresso, dall’aspetto innaturale, e invece apprendiamo da una foto interna che è proprio così, sembra di plastica e innaturale anche dal vivo. L’interno del depliant mostra la carta toponomastica del POV, una sorta di molle M attraversata da una strada interna, dove si aprono negozi a destra e sinistra, con le entrate, 3 in tutto, poste alle estremità basse della lettera M. All’interno della M compaiono dei numeri che in legenda poco sotto elencano nome per nome tutte le ditte presenti nel Villaggio – ovviamente solo grandi marche. Le ditte più trendy hanno fatto inserire il loro loghetto al’interno della mappa. Le restanti tre facciate del depliant mostrano le indicazioni per raggiungere il posto, praticamente sperduto nel nulla, l’informazione che è possibile prenotare un personal shopper all’interno del Villaggio, che in caso di compleanno si possono ottenere ulteriore sconti (basta presentarsi con la carta d’identità all’infopoint) e che si possono acquistare biglietti di concerti a prezzi scontati, sempre all’infopoint. E’ chiaramente possibile scaricare anche un app del POV per tenersi aggiornati in tempo reale sulle promozioni all’interno del Villaggio. Resta una delle cose più interessanti, e che un po’ ci deprime, che sono 3 foto vere del Villaggio, che vado a descrivere.
Le prime due foto sono affiancate, quadrate. La prima mostra una prospettiva orizzontale del bar e dei tavolini che abbiamo sognato dal frontespizio, e sorpresa, sono proprio come nel disegno. Anche l’abbigliamento delle persone sembra essere quello dei personaggi nel frontespizio. Abbiamo una coppia composta da uomo e una donna seduti con dei calici di vino davanti, carichi di buste degli acquisti, che sorridono amabilmente, e un’altra coppia di donne sedute, senza buste ma con una coca cola sul tavolo, che sorridono e discutono amabilmente. Il bar appare ben ombreggiato, si intravedono chiazze di sole per terra, a macchia di leopardo, ma le teste dei nostri avventori sono ben coperte. L’altra foto mostra una prospettiva di viale, con i negozi che si aprono da un lato, attraversata da due sorridenti e belle signorine che camminano ognuna con una busta alla sua destra, anzi, la ragazza mora ne ha ben due. Ci sfugge in un primo momento la somiglianza di una delle due donne con una di quelle sedute al tavolino nell’altra foto. L’ultima immagine ci mostra l’ingresso del villaggio dal quale una coppia sta uscendo, senza buste, dove possiamo apprezzare l’innaturale logo del POV che campeggia sopra le loro teste, identico a quello del disegno. Ed è qui ci accorgiamo che l’uomo è lo stesso che era ritratto nella foto della coppia seduta al bar. Anche la donna al suo fianco è una di quelle sedute, però non è la stessa con cui l’uomo si accompagnava. E dunque? Dunque Le foto sono tarocche. Ma perché mai, mi chiedo? Perché non prendere foto naturali di persone felici che acquistano cose o sono sedute al bar? Milioni di persone passano per il centro commerciale, cosa ci voleva? Perché pagare modelli? Scelta misteriosa di marketing. Insospettito apro il sito del POV e cerco qualche altra foto, ed è qui che mi deprimo. Troviamo uno scatto simile a quello della coppia che esce dal Villaggio, ma stavolta ogni dubbio è fugato. I quattro modelli sono tutti sulla scena, manca solo la donna bionda seduta al tavolino con l’unico modello maschio, non si sa perché, le altre sono le stesse modelle del bar, solo che in questa foto, benché riprenda sempre l’atto di uscire dal POV, tutti hanno le mani cariche di buste, ne riusciamo a leggere addirittura le marche. Perché mi deprime una cosa così? Le foto sono praticamente le stesse, fatta eccezione per questa e un’altra dove finalmente compare anche la modella bionda, stavolta al centro delle altre due donne, intente a passeggiare per il boulevard del POV, una le tiene un braccio allacciato al suo, indossano occhiali per ripararsi dal sole, tranne una, ma tutte ridono, in una posa di plastica falsa dinamicità. La scoperta di queste foto, il loro esser false con l’intento di non sembrarlo mi ha spinto a scrivere tutto questo. Non l’avrei fatto se avessi trovato delle foto naturali, o chiaramente false. Questa ambiguità mi ha depresso e mi ha svelato che dietro a tutto c’era un intento, un intento preciso e allusivo, di attirare un potenziale consumatore. C’è una strategia dietro tutto questo, molto più grande di quanto potessi immaginare. E infatti dove ho trovato il depliant? Sul tavolino dell’albergo dove lavoro, a centinaia di chilometri di distanza dal POV. Direttamente fra le mie mani. Sono capillari. Tramano contro di noi, o forse per noi. Non ci vogliono ingannare ma non vogliono neanche dirci la verità. Alludono ma voglio che tu compia il passo da solo. Loro non ti cercano, sei tu che vuoi andarci. In fondo non hai sentito dire da quella tua amica che c’è stata sabato scorso quanto conveniente sia? Non desideriamo tutti essere più belli, più ricchi? E se anche non lo siamo, non vorremmo provare a pensare di esserlo? Per questo esiste il Villaggio. Per trascorrere 1 bella giornata.
Postilla:
L’ennagono descritto, assunto a logo grafico dal POV, è la riproduzione della conformazione reale della città di Palmanova, detta “La città fortezza”. Non sto scherzando. Come East Corinth nel romanzo La scopa del Sistema riproduceva il profilo di Jane Mansfield, dall’alto, Palmanova, ha una figura perfettamente ennagonale. Fu costruita dai veneziani della Repubblica di San Marco sul confine con gli Asburgo, come prova di ingegno e potenza, il numero dei bastioni e la lunghezza dei lati furono stabiliti in base alla gittata dei cannoni del tempo, un fossato segue il perimetro di tutta la città, difesa da alti bastioni, sorta esclusivamente con lo scopo di essere una fortezza, anzi, una macchina da guerra. Fuori c’è il chaos, sembravano dire i veneziani, ma Palmanova è un acquario, dove si è al sicuro. Anche se, nel 1797 un maggiore austriaco riuscì, con l’inganno, a entrare nella fortezza e conquistare Palmanova.
… e dire che, in quell’intrico di linee di fuga rosse, ho visto l’esagramma unicursale di Thelema.
Un imperativo inquietante, per un outlet.