Uno di quei giorni che esco con l’intenzione di bere

Le persone sono televisori accesi su canali di intrattenimento. La strada allora è piena di televisori che trasmettono la loro propaganda ma ogni televisore non ha coscienza di cosa trasmette. Altri pensano ai palinsesti. Il mio televisore trasmette e arriva al bancone di un bar dove un altro televisore sta affettando limoni e arance per i cocktail serali. Potremmo vederla così? No, ma a volte è così che la vedo. Sono sceso in strada spinto dall’oppressione dei muri. Mi premevano contro io il corpo, mi stavano soffocando. Trasmettevo davanti a un televisore acceso ma non lo guardavo. Non avevo nulla da fare, nessun posto dove andare. Anche io con la mia testa televisore e il sorriso di una certa consistenza mediatica. Davanti al bancone di un bar. Un gin lemon grazie. Bere migliora la qualità dei programmi. Esco con la seria intenzione di non parlare con nessuno ma di guardare e basta. Provo e non provo attrazione per i corpi delle ragazze. La provo istintivamente, una forza di gravità naturale, ma è qualcosa di animale, di simile a un desiderio che non voglia essere realizzato, lo so per certo, vengo attratto da questo campo magnetico come se il campo avesse la risposta ma dentro non c’è nulla.

Nonostante questo i miei occhi catturano immagini che mandano impulsi al mio cervello e il mio cervello usa rami o filo spinato che ho dentro al corpo per torturami e farmi sentire questa spina di desiderio.  Il corpo altrui mi attrae e mi stimola ma la sua conclusione, la conclusione del desiderio mi lascia inappagato. Molto difficile descrivere questa sensazione. Si potrebbe tentare col descrivere le varie circostanze che attingono a questa sensazione cercando di far capire con la parole almeno la sua forma, la sua struttura. Ma è un rebus senza soluzione. Posso scriverla esattamente come lanciare un sasso in una pozza d’acqua e sperare che la propagazione delle sue onde ne sveli il mistero. Ma le onde si allargano e allargano fino ad allontanarsi e farsi deboli. E si intersecano con onde di altri. Trasmettere. Non si può far altro. Sono appoggiato con una spalla al muro d’ingresso del bar e osservo. In una mano il cocktail che alterno a tiri di sigaretta. Una ragazza profumata passa con le sue ballerine. Le fisso le fessure che si aprono dalla curva del decolté delle scarpe, accenni di dita emananti un certo di mistero. Sta trasmettendo un programma di una banalità seducente e questo la appaga. Forse una sorta di vendetta. Le ragazze sanno delle sofferenze maschili? Non sono mai stato una ragazza. Posso immaginarlo. In loro vedo una certa consapevolezza, ma forse mi sbaglio. Consapevolezza nel mostrarsi e al tempo stesso nel non voler essere disturbate. Non è colpa loro se le loro gambe con le calze sopra ci fanno struggere di desiderio. I poeti ne scrivono di continuo. Di sconosciute che passano e scompaiono. Analizzata tutta la gamma di sensazioni. Il desiderarle con la consapevolezza della perdita e il desiderarle con l’opportunità della conquista. Entrambe le soluzioni non portano da nessuna parte. E allora perché desiderare? È quella forza di gravità di cui parlavo. La nostra prigione invisibile. Come respirare.

Altri televisori si irradiano per le strade. Un televisore guarda un altro televisore. Trasmettono lo stesso programma. I palinsesti si assomigliano molto. Se un televisore scazza gli altri televisori lo isolano. Una ragazza mi parla. Posso cambiarti il canale? Vorrei dirle. Occhi pesantemente cerchiati di nero, lei. Anni 60. Le danno un fascino misterioso. Trasmette pubblicità di se stessa. Lei che sbatte gli occhi. Lei che muove la testa. La pubblicità delle sue mani è incantevole. E come sospende il piede tenendolo sulla punta, avvitandolo. Una delicatezza inconcepibile. Lo fa apposta? Cambia qualcosa? Se lo fa apposta vuole dire che è a conoscenza di alcuni segreti, se lo fa spontaneamente i segreti sono a conoscenza di lei. Cosa cambia? Un altro televisore le si avvicina. Io trasmetto un canale disturbato. Si vede poco. Questo è quello che penso io. Non è dato sapere cosa pensino gli altri televisori di me. Possiamo solo osservare.  E tendiamo a credere che gli altri vedano il mondo come noi. Potrebbe essere diverso? Ognuno è chiuso nel suo tubo catodico. Non c’è uscita da questa prigione. Se passi la mano sulla pelle di un televisore puoi sentirne l’energia statica. Puoi appoggiare gli schermi l’uno all’altro. Aumenta solo la confusione.

Vado in un altro bar, ci sono sgabelli, e sopra ogni sgabello un televisore. Il volume è molto alto. Fuori ci sono pochi tavolini pieni di televisori accatastati. Chi possiede i telecomandi? Una ragazza mi sorride. Ci scambiamo poche informazioni. Lei deve allontanarsi, è con altre persone. Sembra molto interessata a me, vorrebbe fermarsi a parlare, conoscere meglio i miei programmi, ma sa che ci stiamo per perdere. Aspettiamo questo momento tragico davanti a una ciotola di noccioline. Ne prendo una. Lei si allontana con una terribile malinconia. Altri televisori si aprono per lasciarla passare, quindi si chiudono per inghiottirla. Cosa hanno da dire i poeti al riguardo? E i matematici? Penso che mi piaccia stare in mezzo alla gente incantato sul mio canale disturbato. Qualcuno si affaccia a vedere cosa trasmetto, quindi si allontana. Prendo due bicchieri di vino, per non dover rifare la fila. Più bevo più una tristezza incolmabile mi si allarga dentro. Sento di non poter possedere nessuno, di non poter conoscere realmente nessuno. Una ragazza che mi attrae parla con un altro ragazzo ma non sono geloso. Penso che è sola anche lei. Anche se è con lui. E lui non è in vantaggio su di me per il fatto di essere lì con lei. I televisori si possono solo guardare. Quindi ogni ragazza che perdo rimane di nessuno. Da un lato è tragico, da un lato è salvifico. Sono sempre lì per me. In fondo è per me che trasmettono. Entrarle dentro per qualche motivo o per qualche ora non cambierebbe nulla. Non è nel sesso che ci appaghiamo. È nello strazio del desiderio, e quello è sempre presente. Tortura e delizia.

Compro una bottiglia di rum. Tre televisori mi fermano, c’è anche una ragazza con loro. Mi chiedono se voglio scoparmela. Il mio canale disturbato li spaventa. Mi lasciano andare via. Solo lei mi urla qualcosa da lontano. Mi fa pena. Mi faccio pena anche io. Continuo a bere col desiderio di morire, ma non morirò. Il buco si allarga. Copre tutto. Il mio televisore comincia a trasmettere una qualche pubblicità in chiaro. Il segnale di disturbo è sparito. Parlo con due ragazze che sono sedute per terra. I nostri schermi irradiano la saracinesca cui siamo alle dipendenze. Sopra la saracinesca c’è scritto “Spegni la tv.” Non c’è migliore pubblicità della cattiva pubblicità. Quindi la pace dei programmi televisivi altrui. Lasci che loro guardino il tuo e ti accomodi a vedere i loro. Mai ragionarci sopra. Non voglio cambiare il loro canale adesso. Sono uno spettatore passivo. Fammi vedere ogni tua pubblicità. Trasmetti il tuo programma di intrattenimento. Puoi farmi anche vedere un circo, non mi immalinconirò. Non mi interessa sapere dove sono i telecomandi. Vengono sequestrati alla vendita. Tocco i loro schermi con un dito. L’energia statica sparisce per alcuni secondi. Quindi torna.

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