Le idee magiche precedevano le soluzioni e anche l’edilizia

Uno.

Comincia con il mio corpo calmo disteso sul letto, e lo sguardo teso a scandagliare ogni profondità della stanza. Si ha necessità di un assoluta compostezza nei movimenti, quasi invisibili, e di un’arma affilata, che chiameremo inquietudine.
Si procede in silenzio, carezzando i lembi del vuoto, misurando lo spessore del nulla.
Ci vuole una ferrea determinazione, accompagnata, se si desidera, da un dito ricurvo che gratta sotto il mento.
Tutto questo per ribadire, se ancora fosse necessario, che ogni cosa è insopportabile.

Due.

Sono in piedi, in un giardino pubblico, dove in lontananza, portandomi una mano tesa sulla fronte, posso osservare l’ombra di un uccello a cui non so dare un nome sorvolare lentamente una certa porzione di natura. Una ragazza grassa dondola insieme all’altalena, sola, formiche dotate di un senso di disciplina che non comprenderò mai si intersecano in file parallele, mentre un pallone rosso proveniente dal vicino campo sportivo è richiamato a gran voce da un branco di ragazzini sudati.
La palla mi rimbalza accanto, attutita dall’erba, per fermarsi, rotolando, proprio vicino al mio piede sinistro.
Non essendo disposto a concedere gentilezze agli estranei mi allontano, cercando di tenere in ogni modo sottocontrollo la mia ombra.
Tornando a casa, le distanze familiari degli oggetti disposti nella mia camera, e l’aprire la finestra guardando fuori non mi sono di nessun aiuto, e anzi, lo sguardo della signora ciabattante lungo la passatoia e l’invisibile latrato di un cane mi costringono a una frettolosa ritirata nel bagno.

Tre.

Non sono portato a svolgere nessun tipo di mansione, nessun tipo di mestiere è congeniale alla mia capacità di leggere una pagina al minuto.
Non ho mai compreso, fin da bambino, la necessità di imparare la matematica, e lei, altrettanto, non ha mai compreso me.
Che necessità abbiamo di moltiplicare numeri primi per altri numeri primi quando il tremolio della cima di un albero e uno sbadiglio superano con un solo gesto le intenzioni e la comprensione?

Quattro.

Come potrei sopportare la vista del mio viso, giorno dopo giorno, senza abituramici, senza trovarmi, in poche parole, maggiormente adatto alla dissoluzione.
Anche le giovani ragazze della pista di pattinaggio, anche le commesse del centro, anche loro, tornando a casa, una volta, si specchieranno e troveranno il loro viso per niente interessante, e senza la preoccupazione di mantenerlo a lungo si sdraieranno sul letto, truccate, addormentandosi dopo qualche pensiero angusto, ma affatto importante.

Cinque.

Mentre si cammina per una via illuminata bene, in vicinanza di molte minuscole teste, ad esempio. Si noterà il vento che passa nello spazio rimasto, si ascolteranno porzioni di conversazione che messe insieme sarebbero ben più veritiere di qualsiasi Ulisse, di qualsiasi Joyce.
D’altronde essere soli è una tragedia solamente se non si hanno gli occhi chiusi.

Sei.

La cosa peggiore, poi, è sentirsi in colpa non avendo commesso nulla, per il semplice fatto di non esser preso da conversazioni riguardanti il passaggio di denari da una mano all’altra, o dalle previsioni del prossimo inverno, che si prospetta notevolmente rigido.
Per non aver notato che quella ragazza sorrideva con intenzione, o che una metafora era tesa a farci capire qualcosa di importante, che abbiamo l’accortezza di non considerare, presi dallo sbattere di un imposta contro un muro di mattoni.
Con l’arrivo della sera, comunque, crepuscolare sutura di tutti i pensieri, occuperemo il tempo con mansioni ripetitive e, sdraiandoci sul letto dotati di un vero corpo e di una vera testa, ci sfioreremo con le mani il viso, per assicurarci che esso non sia svanito insieme all’oscurità che presiede la stanza.

Sette.

Continua da sé, anche se non ci rende mai del tutto partecipi, forse perché impegnato nell’intento, il nostro minuzioso, paziente abbandono.
Consiste nel lasciarsi andare e nel sorridere benevolmente. Viene da sé il fatto di non riuscire a scegliere un volto da presentare ad una persona sconosciuta, a cui naturalmente non vorremmo mai far sapere niente della nostra condizione, e con la quale, anzi, ci mostriamo particolarmente cortesi e servizievoli, cosa che riesce anche meglio se la scena ha luogo davanti a una persona che ci vuole male, e che un tempo, quando scegliere un vestito sembrava una cosa ragionevole, abbiamo persino odiato.
Come se non bastasse una nuvola si porta davanti al sole, per alcuni istanti, rendendo il passaggio in ombra un avvenimento affine al nostro modo di presentarci.

Otto.

Potreste trovarvi, un giorno che il sole cade sulle cose come sempre, dinanzi ad una non più giovane ma prestante coppia di persone agghindate di un lusso schifoso, servite con miserevole parsimonia da un uomo tutto inchini e sorrisi.
Poniamo dietro di voi, o se volete alla portata della vostra vista, il mare.
State mangiando qualcosa da soli, che è poi il miglior modo di nutrirsi, ma nonostante questo non riuscite a distogliere la vostra attenzione dalla coppia seduta proprio vicino a voi, che discute, fra un bicchiere di vino cremisi e le scintille che i numerosi anelli della signora, uno per dito, riflettono sui vostri occhi, cose abbastanza sciocche, ma dette con molta attenzione, e nella maniera giusta, tanto da farle quasi sembrare importanti.
Credo che la grandezza della razza umana non si evidenzi da questi particolari, ma, piuttosto, nella consapevolezza del buon lavoro fatto dal dentista della signora, che vi offre un’ampia visione della sua dentatura.

Nove.

Malgrado i vostri tentativi di scomparire con garbo, quasi senza disturbare, può accadere che a qualcuno venga l’idea di fermarvi per la strada, tenendovi per un braccio, e insinuando di conoscervi. Questi tipo potrebbe anche avere il coraggio di parlarvi di sé, ostacolo che potremmo anche superare, con pazienza, ma quando lui vi domanderà il perché della vostra trascuratezza, ponetegli un braccio sulla spalla e, sorridendogli amorevolmente, ditegli che la vostra preoccupazione è tutta protesa verso un fine nobile, che è la felicità degli altri, lui stesso compreso.
Tornando a casa, finalmente soli, non vi turberete neanche nel constatare l’insistenza della polvere che continua a cadere su tutte le cose, e anzi, fieri della vostra buona azione, potreste anche dedicarvi un ora di tempo con la mente sgombra come una piazza d’estate.

Dieci.

Finisce con il mio corpo disteso sul letto, silenzioso, immobile, capace di non muovere nemmeno una palpebra.
A questo punto ogni cosa ha raggiunto un placido accordo con se stessa, e scomparire, all’apice della nostra distruzione, fra l’indifferenza generale, denota, concedetemi un’osservazione, gran classe.
Come il giocatore che lascia il tavolo quando sta vincendo, così noi, dotati di un vero cuore e di una certa sensibilità, capaci di concentrare il mondo in unico gesto, padroni assoluti del movimento, lasciamo che la purezza dei muri imbiancati ci avvolga, e ci divori, lasciandoci privi di mani da battere rumorosamente e di sorrisi di cui oramai non abbiamo più bisogno.
Ci servono ancora un paio di gambe, da muovere in avanti, prima una e poi l’altra, nella stessa maniera in cui avanza la notte, in certe sere, per irrompere nel bagno dove una vasca colma d’acqua gelata ci attende.
Ci sdraieremo così, con le braccia ormai prive di senso lungo i bordi della vasca.
Immergerci e rimanere sotto è uno sforzo da non considerare nemmeno, visto tutto quello che abbiamo sopportato.

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