Non conosco nessun Alfredo dico con tono solenne, e la donna di fronte a me sorride ma il suo sorriso ha un qualcosa al suo interno, come un orecchio, una nota di cupezza, di lontanissima disperazione.
Bevo un sorso dalla lattina di coca cola zero che va scaldandosi nella mia mano e ne guardo la composizione. C’è scritto zero sui carboidrati, sugli zuccheri, sulle proteine. Zero di tutto. Cosa sto bevendo? Una bevanda fatta di niente. Contiene una traccia di fenilalanina.
Alfredo dice che gli hai consigliato questa dieta che gli ha fatto perdere cinque chili in una settimana, ora tu puoi negare di conoscere Alfredo, puoi cercare di far perdere le tue tracce, forse perché non vuoi farci sapere da dove viene tutta questa sapienziale conoscenza delle diete? Posso accettarlo dice la donna. Tutti abbiamo dei segreti.
In alto il rumore di un aereo, alzo gli occhi al cielo, verso l’oscurità, ma non ci sono tracce del velivolo. Per una attimo percepisco il nero lassù in alto come altezza, come profondità, e mi vengono le lacrime, sento salirmi le lacrime e le ingoio e penso alle parole “esaurimento nervoso”, ma per un secondo, poi distolgo subito la mia attenzione, penso a certi profili di alcuni enormi palazzoni di Berlino che sembrano tagliati e lasciati in mezzo a una strada, per non rendere reale la cosa, di qualunque cosa si tratti.
Di fronte a me, oltre alla donna, ci sono altre tre persone, e altre ancora ai lati, su questa terrazza illuminata dalle candele. Quando siamo diventati così cinici? Dice un uomo anziano con dei baffetti sale e pepe. Quando abbiamo cominciato a interessarci nuovamente all’architettura delle città?
C’è questo posto in centro dice una donna scalza con una gamba piegata sotto al sedere, io penso che scriverò un libro che parla degli elastichetti in terra, negli angoli delle stazioni, un libro che parli delle figure che sembrano ritagliate e incollate su sfondi rossi nelle riviste di gossip, vecchi tedeschi con capelli assurdi, principesse sgranate, conduttori di varietà fotografati sulla spiaggia. Un libro che parli delle ditate lasciate sui banconi degli alberghi, che compongono mappe accuratissime di passaggi all’apparenza caotici. Un libro che parli di niente, in sostanza, che sottragga ogni aspetto inerente un qualche tipo di storia, di messaggio, non ci devono essere descrizioni, grandi sentimenti o inseguimenti in macchina. Nessuna donna in fuga, nessun uomo che capisce improvvisamente e filosoficamente cose profondissime. Chi lo leggerebbe un libro così? Più che un libro sembra un dispetto.
Odori di carne alla brace, provenienti da qualche piano sotto di noi, da qualche balcone aperto.
La destra ha smesso di fare la destra, dice uno che si chiama Gionni, che viene chiamato Gionni, ci dobbiamo vergognare di essere di destra, e di chi è la colpa? Adesso la destra viene identificata con personaggi meschini che recitano copioni di cattivo gusto, senza un ideale, senza opinioni. Sembrano automi a cui qualcuno al mattino consegna una velina che ripetono pedissequamente nei salotti televisivi, nei microfoni con il pelo che giornalisti accalcati gli piazzano sotto il mento.
Non cominciamo con la politica dice la padrona di casa. Parliamo di qualsiasi cosa ma non parliamo di politica. Se ne accorgono anche le piante se parliamo di politica, si rattrappiscono.
Guardo le piante disposte sulla terrazza, un’equazione disordinata di felici, gerani, tronchetti della felicità, edere. Immagino le loro radici combattere disperatamente nel silenzio della terra, alla ricerca di una goccia di acqua, di minerali. Quando siamo diventati così cinici?
La moda di quest’anno prevede un dettaglio militare. Disgustoso. Ma quando è moda è moda, dice l’anziano coi baffi, è un ordine. Subisci l’ordine sia se lo assecondi sia che lo eviti. È colpa della pubblicità, dice una donna con i capelli bianchi come il camice di un dottore. Io lavoro nella pubblicità e posso assicurarti che la pubblicità è responsabile di tutto tranne che dei prodotti che vende. La pubblicità non serve a niente, dice Gionni. Niente serve a niente, dice la padrona di casa. Che discorsi. Sapete dirmi qualcosa che serva veramente? I netturbini dico, giocherellando con il tappo della lattina che, noto, serve a reggere una cannuccia che non ho.
Passa un’ambulanza diverse decine di metri sotto di noi. Si vedono le luci rimbalzare sui muri, fra le luci dei lampioni e le luci degli appartamenti e i fari delle macchine.
Un libro che parli delle suore che si vanno a fare dei massaggi, completamente nude, suore che dicono che erano anni che non venivano toccate da un uomo, che parli di pisciate solitarie in bagni pubblici, dell’attenzione posta affinché lo schizzo d’urina scalfisca una traccia di feci lasciata da qualche passeggero notturno, un libro che parli di come certe sigarette restano contratte dentro ai posacenere, sbordate di rossetto, assurde e potenti come un enciclica papale se guardate dagli occhi giusti. Un libro senza dipendenze e che non parli di ossessioni, senza trama, assolutamente senza trama, per continuare nel dispetto. Un libro vuoto all’interno. Fatto di niente. Che non contenga nemmeno una traccia di fenilalanina.
Facciamo un po’ di karaoke? Chiede la padrona di casa, poiché dalla sua prospettiva la conversazione langue, gli ospiti si annoiano, sembrano appassire, e lei vuole prendersi la responsabilità, in questo caso, cercare di intervenire, di modificare gli eventi.
Ogni vita contiene una dose di materia grottesca, una dose di eroismo, una certa percentuale di frivolezza, uno smaccato senso del ridicolo costantemente ignorato, tutto dentro a una stessa vita. La mia, la tua. La composizione di queste sfaccettature compone una maschera che è quella che indossiamo tutti, nessuno escluso. Lo dice una signora bionda le cui clavicole sembrano attaccapanni. Basta con questo cinismo, la ammonisce un’altra signora bionda.
Questa è la situazione, in tutta la sua chiarezza, ma è vicinissima, reale, talmente reale da non poter essere interpretata. Allora la padrona di casa entra in soggiorno e quando esce accenna due passi di danza, qualcuno suona un bicchiere con una forchetta, qualcun altro batte coi piedi in terra, e lentamente le movenze della padrona di casa si trasformano in una danza del ventre, sollecitata da battiti di mani, numerose, comprese le mie.
olà, alex… sei più sfuggente della fenilalanina: di te si eran perse le tracce!
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scherzi a parte, era un bel po’ che non leggevo tue nuove, quindi tutto soddisfatto mi son bevuto il post. indubbiamente siamo tutti fatti di niente, e magari le uniche tracce che possiedono concretezza fisica nelle nostre vite sono *le parole*. emblematico in questo senso quando dici “penso alle parole esaurimento nervoso”. se poi non è così, intendo, se anche le parole stesse sono solo un rumore di fondo (tipo l’aereo in alto nell’oscurità), allora non ci resta che passare la vita contando le ditate sui banconi degli alberghi – bellissima immagine – immaginando di essere i non-protagonisti di un non-romanzo scritto (ma anche non scritto) per dispetto…
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poi cheddire ancora? ah sì, ma che gente frequenti!?!?!? ari-scherzi a parte, m’è molto piaciuto il senso di vertigine sull’orlo del vuoto salottiero fatto di moda, non-politica, karaoke nonché di libri vuoti che si librano nel vuoto.
ottima la chiusura (a differenza di altre occasioni in cui), con la danza del ventre che evoca bisogni viscerali capaci di tirarci tutti in ballo in qualità di ventriloqui gravidi di non-vita (battiam battiam le mani…)
(occhio refuso “un ambulanza”)
Ciao malos, sono stato impegnato ultimamente per questo ho leggermente trascurato il blog, ma adesso ricomincio a postare dei pezzetti, come ho fatto per Sognando Maria Callas che uscirà fra breve, posterò dei piccoli brani dal libro nuovo che sto scrivendo per vedere se funzionano. Contento che ti sia piaciuto!