Qualcosa o qualcuno pareva ordirci misteriose trame alle spalle, sempre più fitte

“Buongiorno, è la segreteria del Direttore Polini, mi passi il Presidente.”

“Guardi, al momento è impossibile, il Presidente sta starnutendo.”

Quando il Presidente starnutiva poteva passare anche mezz’ora prima che smettesse. L’esperimento che era il suo viso usciva da questa intemperanza modificato, come se il Presidente avesse avuto una febbre altissima. La compostezza del suo volto, quasi irreale, dove sullo sfondo occhi liquidi, da predatore, si agitavano come oggetti luccicanti su un fondale marino si riducevano a due piccolissime fessure.

La segretaria aveva sentito il primo starnuto appena cinque minuti prima. Da allora, ogni venti trenta secondi ne seguiva un altro, e un altro ancora, fino al completamento della serie. Questo capitava invariabilmente almeno una volta al giorno. Nessuno sapeva del problema del Presidente con gli starnuti. Nessuno al di fuori della stretta cerchia di collaboratori del Presidente, ovviamente. Celebre era la sua minaccia di liberalizzazione economica, la sua indefessa e sempre annunciata battaglia contro la corruzione, il suo smodato amore per la libertà. Ma gli starnuti potevano essere visti come un inequivocabile segno di debolezza.

Le ragazze, una bionda e una mora, attendevano pazientemente che il Presidente finisse di starnutire. Una reggeva in mano un caffè che andava raffreddandosi, un’altra, con una scatola di veline in mano, si preoccupava di passargliene una ad ogni nuovo starnuto. Le ragazze venivano messe a conoscenza del problema starnuti, c’era un ordine di servizio addirittura che veniva consegnato a ogni coppia di ragazze che si alternava nella stanza del Presidente. D’altronde tutta la routine del Presidente era scandita da ordini di servizio. Non si poteva ogni volta stare a spiegare tutto da capo a ognuno.

Adesso le ragazze erano inginocchiate dinanzi al Presidente, che indossava il suo bavaglino con su scritto “numero uno”, proprio sotto al disegno di un dito medio alzato. Una delle due ragazze, la bionda, adesso teneva le mani giunte. Le finestre erano aperte e il Presidente guardava fuori, in attesa di un nuovo starnuto. La serie si esaurì e il Presidente si sedette sulla sua poltrona da dentista. Si trovavano nello scompartimento segreto dell’ufficio presidenziale, ricavato dal montaggio di un tramezzo che riduceva la grandezza originale della stanza di una buona metà. Un nascondiglio precario e smontabile. In fondo non sarebbe stato lì per sempre, questo il Presidente lo sapeva bene e lo ripeteva in continuazione. Non poteva continuare a sacrificarsi in eterno per il bene del paese, nonostante milioni e milioni di persone avessero votato per lui, e solo per lui, per quindici anni buoni di fila. La stanza dove si trovava adesso, la stanza segreta, constava dei seguenti elementi:
1 palo da lap dance
1 tavolo da biliardo
1 sedia da dentista
1 lettino ginecologico
1 angolo bar
16 felci
8 cuscini sparsi in terra dalle forme circolari
1 divano rosso a forma di labbra

Il presidente passava lì buona parte della mattinata, quindi usciva per pranzo, per rientrare nuovamente nella stanza fino a metà pomeriggio, impegni permettendo. D’altronde c’era da mandare avanti una nazione. Il Presidente salì a cavallo della ragazza mora, dotata di sella, e si fece portare un po’ a spasso per la stanza.
“Tu fai l’indiano” disse alla ragazza bionda, “Nasconditi dietro al divano.”
Il telefono squillò, e la ragazza mora a quattro zampe condusse il Presidente fino al cordless.
“Presidente c’è il presidente Polini in linea”
“Me lo passi.”

“Presidente, come andiamo?”
“E come andiamo. Si sopravvive.”
“Non dica così, le vogliono tutti bene.”
“Eh.”
“Volevo chiederle Presidente, si è poi informato per quella questione di cui avevamo parlato al ristorante il mese scorso, io ho atteso, ho atteso, mi sembrava di essere sgarbato a disturbarla, con tutti gli impegni che ha, ma il tempo è passato, e questa persona mi sta pressando, per cui mi sono permesso di.”
“Hai fatto bene Paolino, hai fatto bene. Rinfrescami la memoria, quella questione riguardante il prete?”
“E la sua amica.”
“Ho capito. Ho capito. Le cose sono ferme per il momento. Ho chiamato chi dovevo chiamare ma ancora non mi è stato detto niente. Farò un’altra telefonata. Dì a Sua Eminenza di non preoccuparsi.”
“La ringrazio Presidente, mi scusi ancora il disturbo, immagino sia molto indaffarato.”
“Immagini bene Paolino. Ce n’è una ogni giorno. Non ho neanche il tempo di respirare. Mi faccio sentire io allora, va bene? Salutami la tua signora.”
“E’ gentilissimo presidente la ringrazio ancora, porgerò i suoi saluti, la mia signora sarà felicissima. Arrivederci Presidente.”
“Ciao.”

Il presidente scese dalla ragazza mora e andò verso il bar. Mangiò due pistacchi.
“Sapete chi era?” chiese alle ragazze senza guardarle.
Le ragazze non risposero.
“Era il presidente della Rai. Radio Televisione Italiana. Chissà perché non si chiama RTI. Mah. Comunque. E’un mio caro amico. E sapete che voleva?”
Le ragazze non risposero. Il presidente si pulì le mani sul bavaglino, quindi si andò a sedere sul divano a forma di bocca.
“Venite a sedervi qui vicino a me, che vi racconto una storiella.”
Le ragazze a quattro zampe raggiunsero il divano e si sedettero una alla destra e una alla sinistra del Presidente.
“Appoggiate le vostre teste qui.” Disse il Presidente battendosi sulle cosce. Era in mutande. Le ragazze appoggiarono le guance sulle cosce glabre del Presidente.
“Allora, in una stanza ci sono un re, un papa, il capo di un esercito e la figlia di un operaio. Si deve decidere circa un’importante questione nazionale, una questione di vita o di morte, non so se mi capite.”
Le ragazze non risposero.
“Secondo voi, chi avrà l’ultima parola in merito?”
Le ragazze erano silenziose.
“Avanti, rispondete.” Disse il Presidente.
“Il re.” Disse la ragazza bionda.
“Il papa.” Disse la ragazza mora.

Il Presidente si esibì in una fragorosa risata, mostrando file di denti bianchissimi e irreali.

“Gioventù. Vi adoro. Sapete perché adoro circondarmi di giovani come voi? Perché siete quasi innocenti. Pieni di energia. E soprattutto non sapete niente di niente. Non sapete cosa si nasconde al di là di tutto. Cosa muove il mondo. Siete in cerca di qualcosa che riconducete a parole come denaro, fama, successo, potere. Ma non sapete cosa state cercando, e non potete saperlo, mie colombelle. La risposta al mio indovinello è che non ha nessuna importanza. Non ha nessuna importanza chi avrà l’ultima parola in merito, mi capite? Non cambia nulla. Si tratta di dire qualcosa, qualsiasi cosa. Non c’è differenza. Capite cosa vi voglio dire?”
Le ragazze non risposero.

“Il mondo è una zona grigia, grigia e compatta. Ve la faccio più semplice. Se io vi mettessi di fronte a tre abiti, di tre colori diversi, e vi dicessi di sceglierne uno a testa, voi ne scegliereste uno, credendo che sia quello che vi piace di più. Mettiamo che una debba scegliere prima dell’altra, la seconda resterebbe con solo due abiti da scegliere. E alla fine resterebbe un abito non scelto. Volete sapere la verità? L’abito che non avete scelto potreste indossarlo ugualmente. Non me ne fregerebbe nulla. Nonostante la prima si sia sentita privilegiata nel poter scegliere fra tre abiti, la seconda svantaggiata nel poter scegliere fra due, e l’ultimo abito non sia stato scelto. Non cambia assolutamente nulla. Tutto non è altro che un’ombra sul muro, un’ enorme ombra sul muro. Questo è il potere. Far credere agli uomini che quell’ombra sia reale. Ma questo è facilissimo grazie a Dio. Non richiede nessuno sforzo. Gli uomini vogliono credere nella scelta. Per questo esiste lo Stato. Gli uomini hanno bisogno di uno Stato. Cosa è uno Stato, lo sapete voi?”

Le ragazze non risposero.

Il Presidente rise di nuovo, chiudendo la risata con una serie di colpi di tosse.
“Prendete i poliziotti. Rappresentanti dell’autorità. I rappresentanti dell’autorità che compiono violenza sugli altri li persuadono che questa violenza è necessaria allo Stato. E lo Stato è necessario alla libertà e al bene degli uomini. Ne risulta che gli aggressori compiono violenza sugli uomini per la loro libertà e che fanno loro del male per il loro bene. E questo è socialmente accettato. Anzi, è richiesto a gran voce.”

Le ragazze rimasero in silenzio.
“Libertà” disse il Presidente.
“Questa è la libertà.”

Rimasero in silenzio per diversi minuti. Il Presidente carezzava i capelli delle ragazze. Il sole disegnava un rettangolo di luce sghemba sopra il lettino ginecologico. Da fuori proveniva il rumore lontano di una volante. Passarono altri minuti. Le ragazze erano immobili. Per la stanza adesso si sentiva solo il sommesso ronfare del Presidente mentre un filo di bava gli colava da un angolo della bocca e sfiorava il bavaglino.

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2 pensieri su “Qualcosa o qualcuno pareva ordirci misteriose trame alle spalle, sempre più fitte

  1. l’inicpit è spettacoloso, poi però un po’ lo rovini con il discorso sulla “serie” di starnuti. era molto più godibilmente surreale e significante immaginare che il presidente non potesse rispondere per *un singolo* starnuto, generando l’idea d’una soggettività cronica o l’assurdo di uno “starnuto infinito” (curioso no? lo starnuto è un flash, una dinamica esplosiva e invece visto dall’interno può durare una vita, ecco… concetti un po’ obliqui su cui sono certo che sapresti ricamare stanze segrete mentali – enormi ombre sul muro – oltre che fisiche)…
    comunque ribadisco, scrittura a fuoco, idee buone proiettate sul futuro, come a dire, ciò che è Stato è stato, ma anche ciò che non è Stato può ancora accadere. occhio a non sbandare in eccessivi moralismi nel finale.
    (ps: alla fine, dopo che si è concluso, intendo, potresti chiosare “anche uno starnuto è stato…”, generando un bel loop tra il corpo testo e la dialettica del presidente)
    vabbè, scusa i deliri…

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