FANTASMI DI IGEA

Eccoli qua.

Abbronzati, inciavattati, incremati, passeggiando per le vie del centro davanti alle pance gonfie dei negozianti cingalesi in infradito fermi davanti ai loro negozi pieni di chincaglierie, borsette, costumi, magliette con su scritto “buongiorno un cazzo”, tutti presenti coi loro passeggini, con i bambini, con i ragazzini, tutti incanottierati con i piedi in bella mostra, le donne con la consueta maledizione delle scarpe con la zeppa, coi sandaletti intrecciati, rampicanti, essenziali, con i tacchi, con le infradito e i piedi laccati, smaltati, levigati con pietre pomice con cremette, tutti sudati con i gelati in mano e il latte dopo sole e una piadina di qualità, con le coppette, le granite, con i cassoni, con i caffè seduti in piazza che costano sempre un euro, i colpi di tosse, le risate, illuminati dai neon multi colore delle sale giochi, gli aquiloni, le bandiere bianche, rosse, arancioni, tutti bruciati, spelati, stanchi, accaldati, oggi come settant’anni fa, come cinquant’anni fa, come vent’anni fa, forse sono le stesse persone, sono i fantasmi delle stesse persone che camminano e camminano ancora e ancora senza pace, in questo pezzo di costa, dove il sole nasce e non tramonta, nella baia adriatica, trascinando le ruote dei loro passeggini le scarpe gli zoccoletti i teli mare, le ragazzine in coppia che sfilano su gambette da giraffa con le scarpe tutte uguali e i vestiti tutti uguali e i capelli tutti uguali per sentirsi meglio, sicure, tenute al guinzaglio dai propri telefonini, e i vecchi fermi davanti ai posti dove si balla il liscio con le orecchie tese, a cercare di riconoscere le canzoni di Casadei che non possono ballare a causa di dolori vari, artriti, amputazioni, sciancature, e le coppie che si tengono per mano, brutti, storti, storpi, belli, pettinati, grassi, unti, a volte talmente brutti da essere belli, così ridicoli da esseri sublimi, sono sempre loro, se chiudono gli occhi qualcosa a forma di pelo gli galleggia davanti alle palpebre, sono già morti e rinati e i loro figli sono qui che passeggiano già morti e rinati anche loro, come occhi di pesci fritti sui cartocci unti, stessi occhi di sardoncino, di alicetta marinata, di tonno tagliato in punta di coltello di vongola verace, occhi da cozze con la perseveranza dell’ostrica attaccata allo scoglio, spettri che solcano il centro della città di Igea e di Bellaria senza soluzione di continuità, i risciò che strombazzano, i bar, le pizzerie, le gelaterie, tutti sfondati esausti sbrindellati, pelati fonati tinti spazzolati, le donne con i culoni e le minigonne e i pareo e le salopette e queste scarpe assurde da cui spuntano piedi di tutte le fogge, le donne hanno sempre avuto scarpe assurde e gli uomini non hanno mai potuto farci niente, cosa possono farci, sono stanchi, abbattuti, massacrati, gonfi, le donne allora l’anno successivo indossano scarpe ancora più brutte, più assurde, e chiedono come sto? Bene dicono gli uomini che al posto degli occhi hanno buchetti neri neri in cui lasciar cadere biglie, olive ascolane, bottoni, sono sempre gli stessi, le stesse facce, gli stessi crani pelati gli stessi polpacci levigati e lisci come ossi di seppia, seduti nei bar negli stabilimenti stravaccati sotto gli ombrelloni su sedie a sdraio sfondate piene di salsedine, appiccicose, uomini che ogni tanto guardano lontano, lontano, con un certo interesse del tutto immotivato, cosa guardano? Niente, non guardano niente, guardano lontano, lontano, un’onda, una barca, un riflesso, un culo, sulle panchine a bere dalle fontanelle e guardare costumi a comprare posacenere con disegnata un’ancora, settanta milioni di pacchetti di sigarette di toscanelli di lingue bruciate, dinoccolati affamati scoperchiati, catorci di esseri umani ammassati ai bordi delle spiagge con cappelli di paglia berretti bandane braccialetti etnici, tutti allacciati infasciati indefessi assonnati, i fantasmi indossano gli esseri umani e le loro piccole opinioni che non hanno mai avuto una conseguenza, sorridono, ridono, piangono, urlano, scopano, cacano, pisciano nelle tazze schizzando dappertutto e ricominciano a mangiar per cacare di nuovo, piegati in bagnetti con le finestre aperte dove tira una corrente infernale, pronti a infliggere i loro bambini agli altri come una punizione, una rivendicazione, una sofferenza che ha bisogno di essere condivisa, in fondo sono tutti incompresi abbandonati scalzati, martiri, con bambini addormentati nei passeggini con occhi di bambola, piedini di zucchero pronti a diventare i fantasmi di domani che faranno le stesse identiche cose, con carrozzelle fasciatoi marsupi biciclette pannolini conchiglie da mettere sulle orecchie per sentire le onde, reti da pallavolo, alzate controsole scialuppe di salvataggio, secche, sabbia che brucia i piedi alle undici del mattino oggi come ieri come domani, e io qui fermo su una panchina con un cappello di paglia mentre il mio corpo scompare e il mare in lontananza piange come una donna pazza che cerca una sigaretta e nessuno l’ascolta, nessuno la guarda, nessuno la vuole, che gira da sola con una bottiglia d’acqua in mano e s’addormenta su una panchina, mentre le tracine si lasciano coprire gli occhi dalla sabbia in fondali oscuri e aspettano per diecimila anni e diecimila anni ancora non emettendo nemmeno un suono.

Eccoci.

 

last days on earth.jpg

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