Mio fratello, il Coronavirus

C’è mio fratello su un letto al centro di un aeroporto. Io sono lì vicino a lui e mi guardo intorno.

 

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Cerco di fermare una signora per chiederle cosa ci fa mio fratello al centro di un aeroporto, e anche cosa ci faccio io. Mi scusi mi dice lei ma ho il volo per Kyoto in partenza.

 

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Mio fratello nel letto assume varie forme. Si mette a pancia in sotto. Poi dopo un po’ si mette di taglio, come un mattone. Infine si mette prono e guarda in alto. Guardo dove sta guardando mio fratello ma quello che vedo è un insieme di competenze tecniche di altissimo livello. Noto anche che è stato sprecato moltissimo spazio, in altezza. Probabilmente per una questione di bellezza.

 

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Io sono al bar e non perdo di vista mio fratello che sbadiglia. Ordino un caffè ma inavvertitamente lo urto e lo faccio cadere in terra. Mi giro verso mio fratello che mi sta osservando da una distanza siderale, in un’infilata di gambe e sovrapposizioni.

 

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Cosa ci fai qui? Chiedo a un certo punto a mio fratello. Ti sembra normale? Stare su un letto in un aeroporto. Chi ha portato il letto? Ti ha aiutato qualcuno? Mio fratello non sorride e non risponde. Si tira la coperta fin sopra alla testa e si rannicchia.

 

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Mio fratello sogna al centro dell’aeroporto. Io non riesco a trovare una sistemazione comoda su queste sedie di plastica.

 

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Faccio qualche provvista. Mio fratello mangia lentamente, il letto è pieno di briciole. Appoggio una busta con gli avanzi in terra e chiudo gli occhi per un minuto. Una guardia mi si avvicina e mi dice non può lasciare quella busta in terra. Come? Chiedo io. Non può lasciare una busta in terra senza sorveglianza, dice. Io sorveglio la busta.

 

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Devo ammettere che mio fratello si alza per andare in bagno con una certa regolarità. Nessuno entra nel suo letto. Le persone lo schivano con una certa agilità. Sul tabellone arrivi e partenze i nomi cambiano. Gli orari cambiano. Le persone sotto al tabellone lo fissano e cambiano anche loro. Mio fratello rientra nel letto ogni volta con un sorriso imperscrutabile sul volto. Un sorriso che non ho mai visto. Provo a imitare quel sorriso. Fallisco.

 

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Mio fratello ha un pigiama a righe bianche e celesti. Ogni tanto piange. Io non so cosa fare così cerco di piangere insieme a lui. Inizialmente non ci riesco. Poi cerco di concentrarmi su una qualche tragedia particolarmente grave. Tipo la perdita di mia figlia. Solo allora riesco a piangere un po’. Osservo negli occhi di mio fratello un cenno d’intesa quando riesco a piangere insieme a lui.

 

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L’aeroporto di notte sembra un centro commerciale senza musica. In alcuni momenti il letto di mio fratello con lui adagiato sopra pare una cosa perfetta.

 

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Ho omesso di dire che mio fratello riesce tranquillamente a dormire nell’aeroporto? Io faccio fatica. Occupo tre sedili. Le persone mi appoggiano le cose addosso. Una volta mi alzo per andare in bagno. Mi guardo nello specchio e penso che forse chi sta sbagliando sono io. Ma in cosa, sto sbagliando? O forse dovrei concentrarmi sul come, sto sbagliando? Sono troppo distratto. Nostra madre me lo diceva sempre. Esco dal bagno e mi sdraio di nuovo occupando tre sedute di plastica. Un cinese mi appoggia un trasportino per animali sulle caviglie.

 

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Arriva il momento in cui tutta la situazione non è più sopportabile. Accada quel che accada. Mio fratello su un letto al centro di un aeroporto non è una cosa che mi riguarda. Dovrò imparare a convivere con quest’idea. Continuerò la mia vita. Lo verrò a trovare a Natale, come si conviene, qui in aeroporto. Devo andare, gli comunico con un tono serio. Rimarrei ancora un po’ ma ho degli impegni. Tu mi capisci. Io non ti capisco, mi dice mio fratello. Non fare così, dico io. Non me ne andrei se non fossi costretto, non sono fatto così, tu mi conosci. Io non ti conosco, dice mio fratello.

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