Sulla fessura

Oltre la riga è il sonno.

Il sonno comincia dalla curva degli occhi e procede verso l’interno.

Il sonno si può indicare, si può immaginare, se ne può parlare, evocandolo.

Il sonno è una lumaca telepatica che ritrae le antenne.

Non si può stare nel sonno e concepirlo, bisogna essere un’altra persona nel sonno.

Nel sonno io è un altro.

Appostato con un piede nella conca del sonno e uno nella buca della veglia, nella notte, si sta al limite del sonno sdraiati su una fessura nera che un tempo era il nostro corpo.

Il sonno è lì, in una provincia interiore sempre a un passo di distanza.

Lo possiamo indicare, scrutare, come si fa affacciandosi da un balcone a strapiombo su un abisso.

Consideriamo questo: un uomo o una donna di 70 anni hanno passato 21 anni a dormire.

Sono stati laggiù, sappiamo tutti dove si trova il sonno, ci abbiamo trascorso un terzo della nostra vita anche noi, rigirandoci nei letti, con lenzuola leggere o piumini, con coperte di lana o senza nulla, quel posto dove improvvisamente è plausibile essere muti, non riuscire a parlare, rimanere con i genitali esposti davanti a un pubblico, volare, o masticare vetro.

(Tu sei laggiù, sonno, mia adorata provincia interiore – mia oliva ascolana imbarazzata dalla timidezza, lasciata sola in un piatto – mia vicinanza, delitto con le unghie, mio carissimo terreno inattaccabile – portami a Marsiglia, una Marsiglia immaginata, una Marsiglia fatta di sonno, portami a ballare, nelle tue terre capovolte dove tutto può succedere e sii accogliente, divieni il desiderio che brucia la pelle al contatto – e sii sempre il primissimo, l’occasione costretta fra due musiche inespresse, il sentiero, il carro che trasporta torturati e torturatori, le nuvole femmina e al tempo stesso la caverna, il buco, il cunicolo che non lascia entrare la luce, l’orologio che segna gli ultimi minuti e da dove non passa nulla tranne la morte e l’opera teatrale della morte, che chiamiamo sonno, indicandolo da questa riva che chiamiamo veglia, osservando tutte le briciole e tutti quei semi, tutti quei semini – tutti le briciole e i semini per terra sull’asfalto pestati e tramortiti dai personaggi secondari del sonno, una riga di semini.)

(E oltre la riga è il sonno, e personaggi che non possono essere toccati, piccole formiche robot prive di ogni espressione, grazie alle reti neurali le macchine potranno interagire con l’ambiente, il robot è in dolce attesa d’un robot, c’è tutta Venezia dentro, la febbre del sabato mattina, la mia vita privata, entrare dalla veglia e uscire dal sonno come una moneta che gira in equilibrio su un piano, la lettura, questa cuoca incendiaria, appartenere a una famiglia storica è prima di tutto una responsabilità, petrolio e rivoluzione, magnifico esemplare di nuvola che si gonfia nel suo habitat naturale, una formula perfetta, osservando la natura si sperimenta l’esistenza del moto armonico, mai guardare il sonno negli occhi e tenere d’occhio la riga.)

Poiché oltre la riga è il sonno.

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