Ecco quello che vedi.
Ortogonalmente alla parete bianca, enorme, due rettangoli si muovono come dotati di vita propria.
E’ un immagine strana e di una geometria che fa pensare agli insetti.
Successivamente si notano quattro piedi, solo dopo che i quadri vengono issati e tenuti in equilibrio, si possono immaginare due uomini dietro che reggono le pesanti tele, con le braccia sollevate.
Ecco quello che senti.
Una voce roca, fuoricampo, dire “Un po’ più a destra entrambi.”
“Ancora un po’.”
“Va bene così. Ora lasciamoli lì qualche giorno.”
Ecco cosa sai.
La voce fuori campo è del più grande pittore vivente, insignito dei massimi riconoscimenti nel corso di svariate decadi dove è andato sempre controcorrente, il cui prezzo dei quadri si aggira, mediamente, al prezzo d’acquisto di un appartamento in centro a Amsterdam.
Lascerà appeso in questa sala i quadri che adesso sono di un grigio compatto, concreto.
Li lascerà da soli per giorni.
Per tornare in un futuro prossimo che può essere anche un anno, dove rientrerà nella sala come se l’avesse lasciata cinque minuti prima, recando un secchio e un pennello, simile a quello che potrebbe usare per imbiancare un muro; e in effetti lo vediamo cominciare ad imbiancare i quadri con ampie strisce di vernice che mano mano che si spandono sembrano fango ed hanno – anche – l’aspetto del fango.
Così lavora il più grande pittore vivente che indossa un paio di pantaloni di lino bianco e una camicia alla coreana molto lunga sempre bianca, sempre di lino, e curiose scarpe che sembrano lacci legati uno sull’altro, come se ai piedi avesse avvolto strati su strati di nastro isolante. Ma invece sono le sue scarpe.
Passa pennellate orizzontali e si sente appena lo scricchiolare del legno, il più del tempo rimane immobile, la stanza completamente bianca, illuminata da due grandi finestre laterali, dalle quali si intravede una linea compatta di siepi, dall’aspetto militare, e un cielo color lastra di ghiaccio antartica.
Ecco l’odore che senti.
Un’essenza che fa sbocciare nella mente immagini floreali, onde longitudinali di qualcosa di simile ai fiori ma che in qualche maniera oltrepassa il concetto di fiori, ponendosi al confine fra il disgustoso e il sublime, in quella zona neutra dove muoversi di un millimetro altera la percezione di cosa il nostro apparato olfattivo stia effettivamente sentendo.
Questo odore proviene da una particolare invenzione del pittore che si trova in un posto non ben definito della sala, forse quelle fessure che s’intravedono appena sotto il livello del soffitto, ma questo non è facilmente intuibile ne dato sapere, non per noi almeno, che tutto quello che riusciamo a sentire è questo: un lunghissimo silenzio che avvolge la sala e il più grande pittore del mondo e i suoi due rettangoli costosissimi, lui in piedi con la testa ciondolante dal collo, appena piegata di lato, le braccia distese lungo il corpo, una che regge il pennello che non gocciola, mentre lui ha gli occhi chiusi e annusa l’aria, l’essenza che ha creato, e che riesce a vaporizzare attraverso un misterioso sistema all’interno dell’ambiente in cui si trova che sembra essere tutto; e forse lo è.
Fuori dalla finestra, oltre le siepi, alcune nuvole si muovono lentamente se fissate per un certo periodo, e forse sono le uniche vere cose viventi non per quello che sembrano, ma per quanto risultano percettivamente intollerabili.
Manca un particolare.
I quadri, ora, sono dove i colori mangiano altri colori.
I quadri ora sono bianchi.