E così comincia a piovere, verso le sette, sette e un quarto, e continua a piovere mentre fa buio e il poeta è lì seduto davanti al suo computer con la pagina di facebook aperta davanti e guarda fuori, è un momento di pausa, di distensione, il poeta tiene il mento appoggiato sulla mano aperta, la sigaretta come il remo di una barca appoggiata nel posacenere fa salire un filo di fumo, il poeta contempla fuori dalla finestra con il mento appoggiato sulla mano e mentre fa buio la pioggia che si riflette fra la luce alonata dei lampioni ha un che di incorporeo, di magico, qualcosa simile ai brividi, ai brividi di un altro raccontati in una cornetta del telefono, e allora il poeta sospeso su queste sensazioni apre una pagina di word e spinge CAPS LOCK e digita il nome della poesia che è PIOGGIA che comincia con la parola “Piove” alla quale seguono una serie di considerazioni molto intimistiche su questo strano effetto che fa la pioggia riflettente fra la luce dei lampioni e la sua finestra e sul fatto che continui a piovere per molto, moltissimo tempo, sembra che il poeta la poesia l’abbia scritta nell’arco di tutta la notte dove pare, sempre nella poesia, che abbia continuato a piovere appunto per tutta la notte e c’è una descrizione del rumore della pioggia che richiama qualcosa di lontano e appena percepibile e perduto, una bella metafora fra le luci sgranate che si vedono attraverso i parabrezza delle macchine e le luci che le gocce di pioggia modificano con un’espressività quasi consapevole, anche un ricordo lontano, dove il poeta o un oggetto non ben identificato che lo trasfigura resta in un determinato punto a prendere della polvere, un sacco di polvere che dopo una serie di vicissitudini viene lavata via, finché il poeta non mette il punto finale e rilegge la sua poesia togliendo i refusi.
Poi a un certo punto viene l’autunno, non d’improvviso, diciamo che è un po’ che girava per le strade, però adesso gli alberi hanno tutti le foglie secche e qualcuno ha acceso un camino e si sente odore di legna penetrare dalla finestra socchiusa del poeta che è seduto davanti al computer con la pagina di facebook aperta davanti, è in quel momento, nonostante l’autunno sia cominciato da un pezzo che il poeta sente di essere entrato in comunione con questo cambio di stagione, e allora apre la pagina di word e spinge CAPS LOCK e scrive il titolo AUTUNNO di questa sua poesia che comincia in sordina, tutto un accennare alla stanchezza, alle fasi della vita, alle cose perdute, chiaramente verso la seconda terza riga scrive la parola “caduco”, tutto è caduco o sono caduco, questo non è chiaro, per continuare sulle ali di questa sua sensazione a descrivere minutamente il paesaggio che si vede dalla sua finestra, che sostanzialmente riepiloga per strati case, prati, alberi e cielo, fino al culmine della poesia che è un raccordo fra tutte queste emozioni soffici e marroni e l’odore di legna che proviene da un camino sconosciuto, ed è qui che il poeta assesta il colpo infilando una serie di metafore fra le cose che accadono e quelle accadute e quelle che accadranno e riflette che niente, è tutto fermo, le cose si muovono se le guardi in prospettiva ma l’autunno è una stagione da castagne e tè fumanti e non ci si può concentrare troppo sulla consequenzialità degli eventi quanto sull’impermanenza delle cose che si esprime attraverso tutte queste foglie che cadono e formano tappeti, queste foglie che sembrano zampe di anatra mozzate, scrive il poeta e chiude la poesia per rileggerla fumando una sigaretta, bevendo un tè e mangiando tre caldarroste.
E benché fosse stata ampiamente prevista da tutti i telegiornali e da tutti i conduttori del meteo in tv con ampi gesti didascalici arriva la neve, e il poeta è seduto davanti al computer con la pagina di facebook aperta quando i primi fiocchi cominciano a cadere, e improvvisamente il poeta ha un’epifania, nella mente gli balena l’immagine di quando a New York l’anno prima era cominciato a nevicare mentre lui era in strada, e così colto da questa improvvisa ispirazione apre una pagina di word e spinge CAPS LOCK e scrive “NEVE” e centra il titolo e comincia la poesia con e parole “New York” per continuare dando del tu a una persona immaginaria, forse una ragazza, che probabilmente era con lui perché continua a dirle “ricordi”, e “tu ti fermasti” mentre lui appare come un cane bastonato, in questo frangente della poesia, per riallacciare quella sensazione al fatto che nevica dappertutto con lo stesso suono, e continuare infilando una quartina sulla geometria della neve, sulla geometria incredibile dei fiocchi di neve ingranditi e allora via con la le spirali e la sequenza fibonacci, ed è tutto un richiamo alle leggi naturali misteriosamente regolate da una qualche entità che si esprime per forme geometriche, e allora eccolo accennare a dei fiori sotto alle neve, dei fiori che vanno coprendosi di neve, ma qui si ferma un attimo, ha come un blocco, mentre cerca di gestire la parola “fiori” e la parola “fuori”, che vuole far coesistere nel breve battito di una strofa.
Così si distrare leggiucchiando qualcosa su facebook, lascia un paio di commenti, uno a suo cugino che è a casa malato e uno a un altro poeta che ha pubblicato una poesia chiamata “INVERNO” scrivendogli “apprezzata moltissimo”, quindi apre la pagina del corriere della sera e si informa casualmente su cosa succede in Cina, legge tutta una serie di notizie sull’inquinamento e vede anche qualche foto di Shangai avvolta da una nebbia irreale, ma quando torna su facebook ha già dimenticato tutte le informazioni sulla Cina e legge uno status di un suo amico col quale non è per niente d’accordo, uno stato riguardante l’ultimo pezzo di David Bowie, quindi apre un video di Richard Kern che si chiama “Face to panty ratio” dove scorrono una serie di ragazze e delle loro mutande che lo ipnotizzano, finché l’occhio gli cade sull’icona di word in basso a sinistra e si ricorda della poesia, così la apre, la rilegge e aggiunge qualcosa del tipo “in inverno c’è sempre un poeta che scrive una poesia chiamata neve” e questa cosa lo galvanizza, perché anche lui sta scrivendo una poesia chiamata neve e questo gioco postmoderno di irridere gli altri includendo se stesso lo fa sentire superiore, in qualche modo, e allora spalanca la finestra e si mette ad apprezzare il silenzio che fa la neve quando cade e si concentra su questo, appena dopo i fiori coperti di neve, si concentra sul silenzio che fa la neve quando cade e lo descrive accuratamente scegliendo delle parole dal suono morbido, tipo “plana” e “maglione” e “questua”, a un certo punto decide addirittura di sparpagliare graficamente le parole sul foglio proprio come fossero una nevicata e questo lo aiuta incredibilmente a trovare lo slancio finale per la chiusa della poesia che termina con un punto di domanda, qualcosa come “sorrideresti ora per me?”, ma non proprio questo, qualcosa di simile che non si capisce se sia rivolta alla ragazza misteriosa che forse era con lui a New York o alla neve stessa.
A quel punto il poeta rilegge la sua poesia mentre fuori continua silenziosamente a nevicare e il suo volto riflesso nel vetro della finestra ha un che di diabolico, una sentenza spigolosa di triangoli, ma il poeta non se ne avvede poiché quando volta il viso verso la finestra i triangoli scompaiono, così finisce di leggere la poesia appena terminata e addirittura sospira per le sue stesse parole, che sono riuscite a ricreare, secondo lui, proprio quello che voleva comunicare, la sua sensazione esatta di quel momento in contemplazione della neve, come se la neve stessa avesse qualcosa da dire, da comunicare cadendo in quel modo e lui fosse riuscito a interpretare questo enigma e avergli dato una chiave di lettura e si sente incredibilmente grato per questo dono che gli è stato dato di inserirsi fra le fessure del mondo come acqua che riesce a dare forma all’invisibile così decide di postare immediatamente la poesia su facebook e i fatti gli danno ragione, perché sette like in mezz’ora non sono per niente una cosa da poco.
bello. direi che l’ossesività del rituale poetico è descritta in modo ineccepibile, con ironia giocosa e postmoderna, nonché con intima padronanza delle leggi naturali misteriosamente regolate da una qualche entità che fiorisce di lemmi.
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nella dinamica reiterativa del racconto, invece, manca qualcosa. mi domando: possibile che il protagonista, gongolante e commosso per i 7 like, non senta il bisogno di premere di nuovo CAPS LOCK e scrivere: “FACEBOOK”?
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