S’incanta l’occhio e un poco si prolunga, lungamente sosta e percorre ciò che solo gli è concesso percorrere. Superfici.
Curve e luce lo inchiodano a una croce dove lo spettro delle immagini appare.
E’ una lancia la lunghezza d’onda che come una canna d’organo s’infligge alla sfera della cornea, sospesa sulla sfera della terra.
Che la terra sia una lente che curvando la luce proietta un’immagine per qualcun altro con la possibilità di vederlo?
La terra come un occhio per il divino.
Noi umani, In questo mondo psichico che crediamo di conoscere così bene e invece ci conosce, tutto ciò che ci è permesso vedere nell’oroptero sono spettri dotati di un certo riverbero d’aura, di un tono preciso di colore e con un certo contrasto percepibile: poiché il mondo, disvelato dietro la quinta degli occhi, per esistere ha bisogno di contrasto, di contesto, di sfondo.
Oroptero, ovvero: limite dello spettatore.
Cosa dunque, tra la nostra psiche, appesa alle stampelle degli occhi, e questi fantasmi dotati di brillanza, realmente si muove e per comodità generale chiamiamo luce?
Luce, Lux, Lumine, Splendor.
Cosa sei?
Tutto ciò che sappiamo è cosa non sei.
Non sei assenza di luce. Non sei buio.
Provare a immaginare la terra senza la luce, condizione a cui sono sottoposti miliardi e miliardi di pianeti, considerare che il buio è la condizione naturale dello spazio che non è illuminato se non per l’accidentalità data dalla scintilla di alcune stelle, rotanti su se stesse, che durante il loro canto di morte concede il riverbero che altro non è che lei, Lumen.
Luce, Lux, Lumine, Splendor.
Dandoti un nome risolviamo qualcosa?
Ti abbiamo realmente scoperto?
O ci limitiamo a subirti, rendendo questa schiavitù, alla maniera tipica degli umani, un fatto accertato che il cervello esclude?
Gli altri animali come ti chiamano nelle loro menti da cervi, da panda, da ragni?
Sappiamo quello che non sei.
Non sei buio, e permetti alla nostra mente di non creare mostri immaginari, nel regno unico dell’inconscio.
E’ in questa serie di frammenti, accidenti, disposizioni, cellule di carbonio, che s’incanta l’occhio e un poco si prolunga, lungamente sosta e percorre ciò che solo gli è concesso percorrere. Superfici.
Diamo un nome a ciò che non conosciamo e alla fine dell’equazione ecco apparire la bellezza, la profondità, l’estetica, l’infinita melodia di tutte le cose.
Curve e luce le inchiodano a una croce dove lo spettro delle immagini appare, e tu esisti, e puoi coordinare tutto questo indicando un tramonto, dove ogni cosa è disvelata e rimanere così, illuminato e illuminante. A indicare.
Perché tutto questo è tuo, dalla superficie di un pianeta da cui, è scientificamente documentato, se provi a guardare ovunque, in qualunque direzione, in alto nel cielo puoi contare, nel diametro di una cannuccia, dieci mila galassie.
Nel diametro di una cannuccia, ovunque e in ogni direzione.
E tu sei qui.